Finger food

Lei è bionda, il calcagno preme spesso e screpolato sui sandali lucidi di vernice. La figura è piena sul davanti, le gambe sono sottili. Gonna turchese e maglietta rosa.

Si avvicina al tavolo della colazione, in quest’albergo davanti al mare. Si guarda attorno incerta: una brioche? Una fetta di pane? Un frutto? Poi decide, sceglie il lato sassone dell’offerta: il prosciutto. Prende un piatto e mi passa alle spalle. Ha un profumo intenso sotto il quale si percepisce l’odore forte di sudore.

Afferra le fette con le mani, una a una. Le guarda in controluce, le rigira, quasi fossero dei collant di cui deve stabilire la velatura. Adesso torna al tavolo – da Lui – barba lunga e occhiali da sole. Sulla t-shirt Baci e Abbracci posso scorgere da qui piccole scaglie di forfora. Beve solo un caffè, naturalmente, per poi correre a fumare una sigaretta al cesso, appoggiandola ogni tanto sullo sciacquone.

La luce inonda la sala, ci siamo solo io e loro due. Lui non parla e guarda fuori. Lei mangia il suo prosciutto, con le mani.

Forse potrei mangiare i miei corn flakes con le mani, con la ciotola vicino al mento, travolto da una fame primordiale.

Oppure potrei tossire rumorosamente, ritrovando a fatica il respiro con un sibilo.

Ecco, forse potrei urlare.

Appoggio il cucchiaio al piatto con delicatezza, non vorrei che il rumore coprisse quello del loro silenzio.

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